Il 17 giugno Ricardo Laganaro, regista di The Line, e German Heller, produttore di Gloomy Eyes, si sono incontrati in un evento di #XRCrowd su Crowdcast per intervistarsi a vicenda sul loro lavoro e parlare della realtà virtuale e del suo pubblico. Un riepilogo di alcuni dei concetti che hanno condiviso con noi

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Racconto di vita vissuta: alcuni giorni fa ho fatto provare per la prima volta a mio padre, tornato dall’ospedale, il visore VR. Non sapevo bene da dove iniziare: un video a 360? Qualcosa più da videogioco? Volevo trovare un’esperienza che fosse un po ‘… magica, per lui, dopo alcune brutte giornate. E proprio per questo alla fine ho optato per la storia in VR che preferisco, da pochi giorni disponibile su Oculus Store: A linha (The Line), diretto da Ricardo Laganaro e prodotto da ARVORE.

Papà non conosce bene l’inglese (e nemmeno il portoghese in effetti), ma la storia è semplice da capire: in un mondo di miniature, Pedro affronta la sua paura del cambiamento attraverso il suo amore per Rosa, la ragazza a cui, ogni giorno, dona un fiore giallo.

Ho delle foto di quei momenti, ma ho promesso a papà di non condividerle (la tentazione, però …). Però lasciatemelo dire: vederlo rimanere a bocca aperta per quanto gli succedeva intorno mentre interagiva con l’ambiente, ascoltarlo parlare con Pedro e notare che alla fine di tutto si era davvero commosso per la storia… Beh, sono cose belle da osservare. E che, ancora una volta, hanno confermato qualcosa che già sapevo: la realtà virtuale e le opere immersive hanno potenzialità che vanno oltre i (bellissimi) festival di settore e anche oltre i videogiochi (con tutto il rispetto).

Hanno il potere di toccare noi, il pubblico, coloro che non capiscono niente di tecnologia – e forse non hanno nemmeno bisogno di farlo – ma che semplicemente vogliono far parte di una storia… Vedere i personaggi prendere vita, condividere un momento con loro e sentirsi in un mondo magico in cui possono perdersi quando indossano quel visore.

L’evento di #XRCrowd: “The Line meets Gloomy Eyes to interview each other”

Qualche giorno fa, Ricardo Laganaro ha preso parte ad un evento su Crowdcast organizzato da ARVORE e da #XRCrowd, per un’intervista con German Heller (3DAR), produttore di un altro lavoro che semplicemente adoro: Gloomy Eyes, diretto da Jorge Tereso e Fernando Maldonado.

Entrambe le opere, The Line and Gloomy Eyes, sono state presentate negli anni scorsi al Venice VR della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e ad altri festival internazionali. The Line ha preso anche parte, negli ultimi giorni, al Tribeca Virtual Arcade showcase di Cannes XR (qui).

Agnese Pietrobon #XRCrowd laganaro-heller
L’evento di #XRCrowd

Nel corso di questa conversazione, Laganaro e Heller hanno parlato del processo creativo dietro il loro lavoro, di come le storie hanno visto la luce e sono state sviluppate, e di ciò che bisogna fare nella VR per renderla economicamente appetibile e toccare, davvero, il pubblico.

E in particolare quest’ultimo è un argomento centrale, e che ho sentito spesso discutere fra coloro che si occupano di produzioni immersive.

Posso non essere un’esperta di tecnologia, ma qualcosa sul pubblico, in effetti, lo conosco. Mi è molto chiaro che anche se alcune installazioni sono assolutamente straordinarie, per toccare il consenso “popolare” bisogna fare qualcosa di diverso. Non siamo tutti degli esperti di videogiochi, non tutti vogliamo perderci in escape rooms (o rimanere bloccati al loro interno) e non siamo nemmeno sempre nell’animo di riflettere sui problemi del mondo attraverso – spesso straordinari – documentari a 360.

Una cosa da evidenziare, a riguardo, però: quando uso il termine “mainstream” non lo faccio per trovare un gentile sinonimo all’espressione “mancanza di gusto”. Non avrei creato un’associazione culturale sui fan se la pensassi così. Alcune produzioni mainstream sono infatti così di qualità che non avrei alcun problema ad urlarlo in faccia a Lars Von Trier e arrivederci, bello mio, è stato un piacere.

Fra l’altro, c’è anche da ammettere una cosa: per quanto possano piacerci i film di Malick (e io sono una di quelli che li adora), la maggior parte delle persone se la sarebbero date a gambe dalle sale cinematografiche molto tempo fa se quel tipo di film fosse l’unica cosa che il cinema ha da offrire.

Significa che dovremmo solamente creare opere “mainstream”? Ovviamente no. Ma significa che, anche nella VR, devono esserci opere che si rivolgono ad un target che va oltre quello dei festival e che guarda oltre il mondo dei videogiochi, per offrire produzioni che persone come mio papà – e ce ne sono tante là fuori – possano desiderare di provare e di cui riescano davvero ad innamorarsi.

The Line, Gloomy Eyes, Wolves in the walls, Arden’s Wake, Crow: the legend (tanto per citarne alcune e mi scusino quanti ho saltato) sono nel – non molto lungo, a dire il vero – elenco di produzioni in VR che riescono a toccare un’audience più ampia e, di conseguenza, che hanno davvero la potenzialità per impattare la popolarità e, conseguentemente, la diffusione della virtual reality, oggi.

L’intervista su Crowdcast ha dato a Laganaro e Heller la possibilità di discutere alcuni elementi interessanti del loro lavoro assieme agli spettatori e vi rimando all’interno video, che potete vedere a questo link.

Quello che però vorrei ora condividere con voi sono alcuni brevi estratti dall’incontro, cinque concetti/idee che mi erano già familiari ma che ho trovato particolarmente interessante ascoltare: sia come persona che usa la VR che come qualcuno curioso di capire quale genere di contenuti parlano davvero ad un’audience di un certo tipo – l’audience fatta da persone che devono essere convinte a provare la VR o che sono alla loro prima esperienza con questo media.

NB: le citazioni sono state leggermente modificate per renderle più scorrevoli nella loro forma scritta.


1. Costruire il mondo prima della storia

Agnese Pietrobon laganaro-heller_world building
I mondi di Gloomy Eyes e di The Line

La storia è importante, ma nella VR hai i personaggi, hai il mondo e hai anche e soprattutto l’esperienza, che è molto più intensa di quella che fai con un film normale. Quindi volevamo prima creare i personaggi e il mondo, poi andare all’esperienza e da qui lasciare che la storia si sviluppasse da sola, lasciare che fossero i personaggi stessi a crearla […] Ad essere sinceri sul momento mi dicevo “Cosa sto facendo? Non è così che dovresti procedere! Dovresti sapere dove vuoi andare!”. Ma dopo Gloomy Eyes devo dire che mi sento molto più a mio agio con questo modo di lavorare, perché ti permette di lasciare le decisioni all’ultimo momento e quindi di prenderle con molte più informazioni, quindi nel miglior modo possibile. […] Mi è piaciuto (questo processo) molto più di quanto mi sarebbe piaciuto avere una visione, scrivere una sceneggiatura, sviluppare uno storyboard, tutto il discorso sulla pre-produzione, tutto lineare – decidi qualcosa e poi lo esegui. Certo, quest’ultimo è un processo efficiente e prevedibile, ma ti fa sentire come se perdessi un po’ della magia che viene nell’andare verso l’ignoto… il che è molto pesante per le persone che si occupano della parte economica. Ma se lo fai nel modo giusto, puoi ottenere dei risultati che sono molto più belli.

German Heller (Gloomy Eyes)

2. Lavorare sul concetto di “testimone attivo” e sulla narrazione in terza persona

Agnese Pietrobon #XRCrowd laganaro-heller_active witnessing
Gloomy Eyes

Questo è un modo per raccontare storie in cui diventi una sorta di testimone. Quando abbiamo iniziato a realizzare il pitch originale di Gloomy Eyes abbiamo sviluppato un concetto interessante, quello di testimonianza attiva. Stavamo cercando di trovare un termine per questo: stai guardando qualcosa, ma non sei del tutto estraneo a quanto sta accadendo. Ma, appunto, sei un testimone, quindi non puoi fare cose, che siano giuste o sbagliate per la storia. Non hai una missione, ma puoi in qualche modo, a seconda di ciò che scegli di guardare, scoprire elementi nuovi o fare un’esperienza diversa. Penso che ci siano gradi di coinvolgimento del pubblico diversi nella VR con cui puoi giocare e si tratta davvero, alla fine, di una preferenza: a volte ho solo voglia di guardare un film, a volte ho voglia di giocare a un videogioco. Sono esperienze completamente diverse nel grado di passività/attività che presentano […] Ovviamente noi ti indirizziamo a guardare una certa cosa, possiamo mettere un po’ di luce lì, un piccolo suono che ti dice “Guarda che l’azione è da quella parte”, ma ti stiamo solo dando dei suggerimenti e questo è un grado di libertà che va un po’ oltre la semplice narrativa piatta di un film ma è anche un po’ meno del tipo di interattività che hai in The Line. […] Quando sai che potresti fallire nel fare qualcosa (di interattivo), tutto il tuo umore ne risente. “Lo sto facendo bene? Lo sto facendo male? Dovrei farlo?” […] A volte è bello, semplicemente, non venire “sfidati” e riuscire a restare nella semplice meraviglia di trovarsi in un mondo diverso.

German Heller (Gloomy Eyes)

3. Sull’importanza di un’interattività integrata alla storia, ma semplice da seguire

Agnese Pietrobon #XRCrowd laganaro-heller_interactivity
Ricordi conservati in un album di foto, la prima scena di The Line

[…] a seconda dell’esperienza, se è più narrativa, penso che sia più difficile far sì che l’utente abbia un corpo ed esista davvero (nella storia). Se lo facesse, proverebbe a fare un sacco di cose, ma visto che non è possibile prevederle tutte nello spazio che stai creando, rischiamo che le persone ne escano frustrate […] Come possiamo integrare davvero la storia con le interazioni, in modo che una non possa esistere senza le altre? In The Line, ad esempio […] abbiamo fatto diversi test con gli utenti – e abbiamo visto molte persone spaventarsi proprio perchè non erano avvezze ai videogiochi […] e che quindi non riuscivano mai a connettersi davvero con la storia e i personaggi perché si stavano solamente concentrando a fare le cose nel modo giusto.
Ecco perché abbiamo creato interazioni molto semplici e con oggetti con cui le persone sono abituate a relazionarsi nel mondo fisico, oggetti di cui conoscono il funzionamento. E abbiamo dato vita ad un ciclo. La prima volta l’emozione di scoprire come funzionano queste cose fa parte dell’eccitazione dell’esperienza […] del conoscere quel mondo. La seconda volta diventa già un po’ più noiosa, ma va bene perché stiamo parlando di routine e vogliamo che le persone dicano “Oh, so già tutto”, quindi non debbano più pensare alle interazioni.
Poi cambiamo la routine e il personaggio deve imparare a convivere con questa nuova routine e l’utente, a sua volta, deve imparare di nuovo ad interagire con l’esperienza. E dopo abbiamo questo momento in cui l’utente deve accucciarsi sul pavimento. Non ci sono più voci fuori campo e il personaggio chiede persino aiuto allo spettatore. È un nuovo momento per tutti.
Quindi, se pensiamo allo spettatore non come ad un giocatore ma come a (qualcuno che è in grado) di crescere e progredire con i personaggi durante l’intera esperienza, allora possiamo avere un utente che non è un corpo o un personaggio ma che, tuttavia, è molto attivo all’interno della storia.

Ricardo Laganaro (The Line)

4. Bilanciare narrazione e voci fuori campo

Agnese Pietrobon #XRCrowd laganaro-heller-narration
Gloomy Eyes

Abbiamo così tante domande senza risposta riguardo la narrazione e il ruolo del narratore in questo momento. […] Quando sei in una realtà virtuale, non presti attenzione alla voce. Cerchiamo sempre di adattarci a dove si trova il pubblico in termini di abitudine all’esperienza – nuova – di trovarsi nella VR: narrare alle volte può essere troppo e quanto succede è che ti perdi pezzi della storia. All’inizio, in Gloomy, non volevamo affatto un narratore, ma poi davano il visore a qualcuno e questo diceva, “Oh, davvero bello. Non ci ho capito niente, ma mi è piaciuto” [.. .] Non una cosa positiva, decisamente… Quindi, abbiamo iniziato a collaborare con Atlas V, e loro hanno caldamente suggerito di aggiungere un narratore. E qui è arrivato Colin Farrell […] e la gente lo ascoltava, ma forse seguendo un 30% del tutto. Quindi, negli episodi 2 e 3, abbiamo bilanciato un po’ le cose e poi abbiamo scoperto che forse dovevamo creare scene con momenti piatti, in cui non succedeva nulla, e lì entravi con la voce […]. In questo nuovo progetto che stiamo producendo, faremo funzionare la storia il più possibile senza il narratore e una volta che avremo il layout completo, ciò che non potremo dire visivamente lo diremo attraverso un narratore.

German Heller (Gloomy Eyes)

Per noi è stato diverso, perché volevamo dare la sensazione di troversi in una fiaba e una fiaba ha bisogno di un narratore. […] Abbiamo cercato di creare un balletto tra l’utente, l’esperienza e il narratore e una sensazione di complicità tra i tre. Volevamo un’esperienza che si rivolgesse a persone che non avevano mai provato la VR, e quindi avevamo la necessità di farli sentire al sicuro […] Ecco perché abbiamo fatto questa introduzione: tutto è nero e c’è solo una cosa che devi guardare e il narratore ti dice “Puoi (farlo)”. E con questo ulteriore livello di interazione, potevamo usare il narratore per spiegare alle persone cosa dovevano fare. La magia arriva nel rendere la cosa in un modo che non sia noioso né troppo letterale e didattico, ma dando alcuni suggerimenti nel discorso e creando così una personalità per il narratore stesso. […] Quindi, nel nostro caso, abbiamo pensato che il narratore potesse essere più simile ad una guida che conosce davvero quell’esperienza […] E quando la routine è interrotta, non abbiamo più il narratore. A quel punto, l’utente si sente già sufficientemente sicuro per provare le cose da solo e quando tutto è risolto il narratore torna a godersi questo nuovo ciclo. Tutti stanno imparando a vivere una nuova routine insieme, incluso il narratore stesso.

Ricardo Laganaro (The Line)

5. L’anima diversa di un “nuovo” media

Agnese Pietrobon #XRCrowd laganaro-heller_diversity

Volevamo mostrare il Brasile e avere il paesaggio brasiliano nell’ esperienza, ma in un modo molto normale, sottile e naturale. Perché quando vedi film sul Brasile, di solito vedi la giungla, vedi la samba, vedi il calcio: ovvero come i gringos vedono il Brasile… ma (vedi raramente) una normale storia ambientata in Brasile, come siamo abituati invece a vedere storie d’amore a New York, a Roma, a Parigi.
E poiché si tratta di un nuovo media, pensiamo davvero che questa sia un’opportunità unica per iniziare in un modo più diversificato, portando storie da luoghi diversi che le persone non sono molto abituate a vedere. Ma storie che non devono riguardare quei luoghi solo perché quando vedi un film in Brasile o in Argentina, deve essere un film sul Brasile, un film sull’Argentina. […]
Quindi, quando siamo stati selezionati per […] Venezia, ci siamo detti: dobbiamo avere un attore brasiliano e mostrare il talento brasiliano, ma senza che diventi una caricatura del Brasile. E poi abbiamo scelto Rodrigo (a/n Santoro). Aveva un bel ruolo in Westworld e quando abbiamo discusso il progetto con lui, sapevamo che aveva capito come creare una storia del Brasile senza che fosse una storia sul Brasile. Una storia che potesse essere universale, ma valida per tutti, e che però avrebbe anche avuto questo secondo livello: c’è una personalità (per il narratore) ed è un narratore brasiliano. Ha un inglese perfetto, ma quando dice Pedro o Rosa, lo fa con accento brasiliano. E siamo stati davvero attenti a questo elemento, perché penso che sia un modo bellissimo per rendere tutto ciò normale, per far sì che l’intrattenimento mostri diversi paesaggi e abbia voci, colori e trame differenti.

Ricardo Laganaro (The Line)

Sia Gloomy Eyes che The Line sono disponibili nell’Oculus Store per Oculus Quest (The Line qui | Gloomy Eyes qui). E se lo store ha sicuramente giochi spettacolari su cui potresti trascorrere le notti, c’è molto di più in un visore di questo. Perciò, lanciatevi e provate davvero a godervi questi due lavori. Se ancora non lo avete fatto, impazzirete per la virtual reality.

E dopo tutto, come Ricardo Laganaro ha detto durante l’evento di #XRCrowd:

Penso che alla fine Gloomy Eyes e The Line siano due esperienze ottimistiche. Penso che sia per questo che risuonano così tanto in tutto il mondo. Al giorno d’oggi, le persone hanno bisogno di storie che possano aiutarle a provare buoni sentimenti, storie di connessione. Dobbiamo connetterci con le persone più che mai in questo periodo, e vivere una storia in cui ciò è possibile è una sorta di ispirazione”

Prima di tutto, grazie a #XRCrowd e ARVORE per questa conversazione che hanno organizzato. Se amate la VR o siete semplicemente curiosi di saperne di più, potete visitare il profilo di #XRCrowd su Crowdcast e rimanere aggiornati sui loro eventi oppure dare un occhio al sito della ARVORE e scoprire qualcosa di più sui loro progetti! Grazie, ovviamente, anche a 3DAR e ATLAS V!

Riguardo Gloomy Eyes, potete leggere l’intervista di XRMust ai registi a questo link e scoprire cosa dicono a riguardo i nostri amici di Loud and Clear Reviews che l’hanno inclusa in questa utile lista di esperienze in VR da provare. Infine, a questo link (in tedesco) trovare la recensione della fantastica Pola Weiss.

Per quanto concerne The Line, vi rinvio all’intervista che abbiamo fatto, sempre su XRMust, al regista Ricardo Laganaro (qui in italiano) e al video della cerimonia di premiazione della 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dove The Line ha vinto il premio per Best VR Experience.

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