Certe produzioni televisive sono una finestra sulla società e fanno fortemente riflettere quando da questa società si sviluppano alcuni dei fenomeni di devianza più inquietanti: ve ne presentiamo alcuni esempi.

(crossposted sul sito di fanheart3 a questo link: https://www.fanheart3.com/killers-e-societa/ )


Scena: sala cinematografica mezza vuota. Io e due amiche siamo sedute con i nachos in attesa che inizi il film. Entra una famiglia con bambino appresso, un giovane virgulto di sì o no 7 anni che si siede accanto a noi e passa le due ore di film con i gomiti appoggiati sulla sedia di fronte a lui a guardare silenzioso quello che sta succedendo sullo schermo.

Tutto ok e tutto molto bello se non sai che il film che eravamo in sala a vedere era Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile. In italiano “Ted Bundy – Fascino Criminale”(sì, i traduttori sono probabilmente gli stessi di Eternal Sunshine of the Spotless Mind. Sigh).

Ad oggi, mi sto ancora domandando se quel bambino non abbia dormito per i 2 anni successivi o se abbiamo involontariamente assistito alla nascita di un futuro killer. Sarà la storia a dircelo.

“Ted Bundy – Fascino Criminale” è solo uno dei film/telefilm (e il meno interessante, a mio parere) che negli ultimi anni hanno preso in considerazione importanti serial killer e criminali della storia. La cosa però davvero interessante di alcune di queste produzioni non è tanto la specifica persona di cui parlano, ma l’approfondimento sociologico, psicologico e scientifico che fanno del contesto attorno al quale queste persone sono nate, si sono sviluppate e hanno visto la loro fine.

Oggi, in collaborazione con fanheart3, vi propongo alcune produzioni che sono particolarmente significative da questo punto di vista, perchè, oltre ad offrire contenuti di qualità, aprono una luce sulla società da cui questi personaggi hanno preso le mosse e ci possono insegnare qualcosa su ciò che si nasconde dietro certi estremismi e certe condizioni.


Ted Bundy: falling for a killer (2020)

Delle numerose produzioni dedicate alla figura di Ted Bundy, serial killer statunitense, autore di almeno 30 delitti di giovani donne indicativamente fra il 1974 e il 1978, la migliore è sicuramente Ted Bundy: Falling for a killer.

Questa docuserie Amazon in 5 episodi è diretta da Trish Wood, produttrice e giornalista investigativa, che decide di adottare un punto di vista per una volta diverso (qui un’interessante intervista).

Focus della serie, infatti, non è tanto questo serial killer che il procuratore Polly Nelson, che aveva il compito di difenderlo in tribunale, definì come “la precisa definizione del male”. Sono invece le donne che in qualche modo hanno avuto a che fare con lui nel corso della loro vita: amiche e familiari delle vittime, sopravvissute, agenti di polizia, avvocati, giornaliste… e al centro di tutto Elizabeth Kendall, fidanzata storica di Bundy, e la figlia di lei Molly, cresciuta nell’affetto di quest’uomo che per anni le fece da amorevole patrigno.

Le voci di queste donne ci arrivano dirette tramite le interviste condotte (con sorprendente sensibilità, se posso dire) dagli autori della serie e ci aprono gli occhi ad un mondo – quello femminile – che negli anni 70 era in piena rivoluzione, ma ancora in parte sospeso fra la sottomissione che era stata imposta alle donne fino ad allora e la liberazione a cui aspiravano.

Una foto di Ted Bundy con Elizabeth e Molly Kendall

Falling for a killer è dunque una finestra su una società e un’epoca che abbiamo visto in molte produzioni e che pure ha ancora la capacità di sconvolgere. Se Ted Bundy ne rappresentava una costola sicuramente estrema, certi discorsi e comportamenti rimangono sintomatici della disfunzionalità di certe situazioni.

Fra tutti, un esempio ne è il discorso che fece il giudice Cowart dopo aver letto la sentenza a Bundy: “You’re a bright young man. You’d have made a good lawyer and I would have loved to have you practice in front of me, but you went another way, partner. I don’t feel any animosity toward you. I want you to know that. Take care of yourself” (Sei un giovane e brillante uomo. Saresti stato un bravo avvocato e mi sarebbe piaciuto averti a far pratica con me, ma hai scelto un’altra strada, collega. Non sento animosità nei tuoi confronti. Voglio che tu lo sappia. Prenditi cura di te).

Questo davanti al tribunale in cui proprio questo giovane, brillante uomo era stato appena condannato per avere violentato e assassinato brutalmente decine di ragazze che non vennero nemmeno menzionate nel discorso.

Ma Falling for a killer è anche di più di questo: è un modo per entrare dentro le dinamiche di abuso e di potere, di insicurezza e di coraggio che possono caratterizzare le relazioni fra le persone.

Ascoltare le parole di Elizabeth Kendell mentre ricorda commossa i momenti belli della relazione con Bundy e osservare il personaggio di Carol Ann Boone – amica di Bundy e divenutane poi moglie a seguito di una sorprendente (e inquietante) richiesta di matrimonio fatta da Bundy nel corso del processo – è straziante ma anche illuminante per capire meglio sia la figura di lui sia cosa spinge certe donne ad avvicinarsi a persone simili.

Sopra tutte, ad emergere è poi Molly Kendall, la figlia che Elizabeth aveva avuto da una precedente relazione e che ha passato con Bundy gli anni della sua infanzia e, in parte, adolescenza. La persona per cui forse c’è stato il tradimento più grosso e la sofferenza maggiore nel momento in cui la verità è venuta a galla. Non diciamo niente, in questo contesto, sulle dichiarazioni che fa nel documentario, ma sappiate che ci sono talmente entrate dentro da farci rabbrividere anche solo al ripensarci.

Un ultimo punto da citare: per quanto il documentario non ruoti attorno a lui, inevitabile cercare di comprendere meglio la psicologia di Bundy attraverso quanto emerge dalle interviste e chiederci cosa avremmo visto in lui se l’avessimo incontrato nella nostra strada. Ascoltate l’istinto, ragazze. Lo mettiamo a tacere troppo spesso.


Manhunt: Unabomber (2017)

La prima stagione di Manhunt: Unabomber ormai è già uscita da tre anni ma con i suoi otto episodi distribuiti da Netflix rimane uno dei più bei esempi di approfondimento psicologico che la televisione ci abbia offerto.

La serie affronta gli ultimi anni di operatività di Ted Kaczynski, il terrorista conosciuto come Unabomber, quanto succede dopo il suo arresto per merito del profilatore dell’FBI Jim Fitzgerald e gli eventi del processo fino all’ammissione di colpevolezza da parte del criminale.

Oltre a riguardare uno dei più difficili casi dell’FBI, che molti di noi ancora hanno modo di ricordare personalmente e che si è dipanato in un arco di circa 20 anni, questa serie fa un lavoro di sviluppo psicologico dei personaggi egregio che riesce a portarci talmente a fondo nei meandri della mente di Kaczynski da farci quasi empatizzare con lui e comprendere il suo (terribile, malato) punto di vista.

Un giovane Kaczynski nei suoi anni a Berkeley

Laureato ad Harvard, un PhD in Matematica, assistente alla prestigiosa Berkeley, Theodore Kaczynski è un uomo di rara intelligenza le cui motivazioni inquietano per quanto riescono ad anticipare alcune delle tematiche che toccano direttamente la nostra società oggi.

“Cercate di convincervi che siete voi ad avere il controllo. Che è sotto il vostro comando, la vostra tecnologia. Le vostre macchine. Ma cosa fareste senza auto? Senza telefono? E se tutti gli aerei si fermassero di colpo? Dieci anni fa i computer erano giocattolini che costavano un occhio della testa. Oggi, la civiltà cadrebbe a pezzi se non esistessero. Vivete con il terrore di un blackout, di un blocco dei computer, che l’auto non parta, che il telefono non squilli. Così costruite le vostre vite, l’intera società in modo che questo non accada. Tutto gira intorno ai loro bisogni, non ai vostri. Fanno un suono e voi saltate, squillano e voi rispondete. Ponetevi questa domanda: chi ha veramente il controllo? Voi o loro?”

Manhunt: Unabomber – S01E02

E alla fine di tutto, non possiamo non sentirci tutti per un attimo l’agente Fitzgerald davanti a quel semaforo (chi vedrà, capirà).

Nota bene: su Netflix è disponibile la docuserie in 5 episodi “Unabomber in his own words”. Personalmente l’ho trovata, almeno inizialmente, un po’ statica, ma ascoltare la voce vera di un sorridente ed energetico Kaczynski che, con la tranquillità di un vecchio al bar, spiega il perchè la nostra società sia sostanzialmente marcia nella sua stessa costruzione e i motivi dietro le sue scelte non può non lasciare il segno.


Inoltre…

agnesepietrobon aileen life and death

Documentario:
Aileen: Life and Death of a Serial Killer (2003)

Quanto contano DNA ed educazione (e, in generale, la vita miserabile fatta di abbandono, abusi, indigenza e tradimenti condotta dalla Wuornos) nella nascita di tanta innegabile violenza, pur non giustificandola? E com’è possibile che una donna con evidenti squilibri psichici sia stata condannata alla pena di morte? Un documentario che è un po’ inchiesta e che lascia con molte domande. Fra tutte: quanta verità c’è dietro le accuse di corruzione fatte alla polizia che seguì il caso? A detta di Aileen e del documentario prequel a questo, sempre dello stesso regista, la polizia aveva fatto il possibile per vendere i diritti per lo sviluppo di un film e di un libro su questa figura, denominandola erroneamente serial killer? Un po’ sembra essercene, viene da pensare, considerando che proprio nel 2003 uscì il film Monster, incentrato attorno a questa discussa donna

(disponibile su Amazon Prime)

Serie TV:
Mindhunter (2017-in prod.)

Prendendo a riferimento interviste reali e il libro Mind Hunter: Inside FBI’s Elite Serial Crime Unit, scritto da Mark Olshaker e John E. Douglas, la serie non soltanto dà occasione di scoprire più da vicino la storia (personale) che si nasconde dietro alcuni dei più famosi killer seriali, ma lo fa raccontando come la ricerca scientifica su di essi si è sviluppata e definita negli anni. Un approccio prettamente psicologico alla questione, dunque, che ha il potere di conquistare sia lo spettatore incuriosito dal concetto di devianza che lo spettatore che voglia approcciarsi alla questione dal punto di vista storico: dalle origini del concetto di “serial killer” ai primi passi per definirne le caratteristiche e aiutarne la comprensione e la cattura

(disponibile su Netflix)

agnesepietrobon the alienist

Serie TV:
The Alienist (2018)

Si scende più nel fictionale, con questa serie televisiva ambientata nella New York del 1896, un’epoca in cui chi soffre di disturbi mentali veniva considerato “alienato” dalla propria natura e chi si occupava di comprendere queste persone prendeva il nome di alienista (quello che oggi chiameremo psicologo criminale). In questo caso non abbiamo un vero serial killer da seguire, ma una figura che sembra più il risultato di varie ricerche portate avanti dall’autore del libro omonimo a cui la serie si ispira, Caleb Carr. La serie però, più di questo, è un esempio dell’uso che può essere fatto del fascino che le persone hanno per il concetto di devianza allo scopo di presentare una società e un mondo complesso e malato. In questo caso indirettamente al centro della questione ci sono infatti tematiche come povertà, immigrazione, prostituzione minorile e identità di genere. Una finestra affascinante su un mondo che sembra lontano, nascosto nella nebbia con cui la serie lo presenta, ma che sotto molti aspetti risulta tristemente attuale

(disponibile su Netflix)